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Il dipinto rappresenta un prezioso esempio di arte emiliana del tardo Cinquecento all’interno del percorso delle Gallerie dell’Accademia, dedicato principalmente all’arte veneta. Collocabile su base stilistica nel lustro 1585-1590, prima del trasferimento a Roma di Annibale Carracci, questo San Francesco presenta punti di contatto con opere certe del pittore degli anni ottanta, a ridosso dei due viaggi di studio compiuti a Parma – alla scoperta delle opere di Correggio – e a Venezia, dove egli ebbe modo di approfondire la conoscenza diretta dei maestri cinquecenteschi e di Veronese in particolare. Il santo di Assisi è raffigurato nell’atto di mostrare eloquentemente gli strumenti della sua meditazione: il crocifisso sanguinante, il memento mori del teschio e i libri, appoggiati su delle curiose scansie di roccia alle sue spalle.
L’espressione di vivo naturalismo e lo splendido brano di natura morta, ravvivata dalla presenza dei rovi e della lucertola, aggiornano l’immagine devozionale di San Francesco rispetto agli esempi ben noti ad Annibale Carracci, introdotti a Bologna dal cugino Ludovico.
Di provenienza incerta, l’opera potrebbe in via ipotetica essere identificata con quella ricordata nella collezione seicentesca veneziana della famiglia Widmann, il cui inventario, del 1659, è affidabile, in quanto redatto da esperti pittori-stimatori del calibro di Nicolas Régnier e Pietro Vecchia. Una scritta di difficile interpretazione, appena sotto il teschio, potrebbe riferirsi al committente dell’opera di cui sembra di poter sciogliere il solo nome di battesimo, Lorenzo.
Con eloquente gesto delle mani – su cui si notano le stimmate di Francesco quale alter Christus – il santo ci invita a contemplare il Crocifisso che sembra prendere vita sotto i nostri occhi. Il corpo del Redentore appare non di legno dipinto ma di vera carne, con il sangue che sgorga copioso dalle ferite sulle mani e sui piedi e dalla testa coronata di spine. Persino il dettaglio del perizoma aumenta la percezione di realtà col suo leggero movimento, come animato da una brezza leggera.
Appena sopra il crocifisso si intrecciano i rami di una pianta di rosa, priva di fiori, ma di cui si riconoscono poche foglie e moltissime spine. La funzione di questo dettaglio figurativo è duplice: da una parte si ricollega alla corona di spine di Cristo, dall’altra ricorda uno degli episodi più celebri dell’eremitaggio di Francesco ovvero il momento in cui per resistere alle tentazioni del demonio il poverello di Assisi si gettò tra i rovi e le foglie di ortica.