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La tavola, giunta alle Gallerie dell’Accademia per volere testamentario di Girolamo Molin nel secondo decennio dell’Ottocento, ritrae san Girolamo nel deserto nell’atto di percuotersi il petto con una pietra mentre medita in ginocchio davanti alla croce. Il tema del santo penitente è tipico della pittura destinata alla devozione domestica, cui l’opera in questione appartiene, come si può dedurre anche dal formato ridotto e dalla provenienza da una collezione privata. La popolarità del soggetto, molto diffuso a Venezia tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, è attestata dalla presenza nel catalogo di Marco Basaiti di più versioni del san Girolamo, come la tavoletta conservata nel Musée des Beaux-Arts di Strasburgo e quella, di dimensioni maggiori, presso il Walters Art Museum di Baltimora. La costruzione delle forme per mezzo dell’accostamento di tinte, fra cui prevalgono l’azzurro e il giallo-bruno, è caratteristica dell’ultima fase di attività dell’artista, in cui si tende a collocare quest’opera, altrimenti avvicinata ai modi del pittore coevo Vincenzo Catena.