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Il dipinto entra in museo nel 1910, quando viene acquistato dallo Stato in occasione del suo passaggio all’Ufficio Esportazione di Venezia. La firma e la data 1692 sono state riconosciute come apocrife riconducendo il dipinto, per ragioni stilistiche, alla prima maturità dell’artista, intorno al 1660. L’episodio della crocifissione di San Pietro venne realizzato da Luca Giordano numerose volte, sia in età giovanile (1650-1653) sia un decennio più tardi. Sono conosciute sei versioni del dipinto molto simili, con alcune differenze compositive e stilistiche, fra le quali, quella conservata in museo, presenta il maggior numero di varianti. L’impaginazione della scena, con la croce posta diagonalmente, riprende la celebre tela di Caravaggio nella cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma, ma rispetto a quest’ultima la composizione del pittore napoletano è più concitata e si caratterizza per la presenza dei numerosi carnefici che si affollano in primo piano, colti nell’atto di issare la croce del martirio con delle grosse funi.

Secondo l’iconografia tradizionale San Pietro viene crocifisso a testa in giù su una croce capovolta, per sua esplicita richiesta, come manifestazione della propria inferiorità rispetto a Cristo. 

L’episodio, incorniciato da un fusto di colonna sulla destra e da uno scorcio di architettura sulla sinistra, si staglia su un cielo rischiarato da lampi di luce crepuscolare. Le figure affastellate in primo piano sono caratterizzate da un pronunciato chiaroscuro e si contrappongono a una serie di personaggi sullo sfondo resi quasi evanescenti da una luce dorata. Dall’alto planano degli angeli per offrire al Santo alcuni fiori del Paradiso: si tratta di un elemento iconografico che istituisce un parallelo con gli angeli che scendono sul Golgota a raccogliere il sangue di Cristo durante la Crocifissione. 

Il dipinto ben esemplifica la felicità con cui Giordano riuscì ad assimilare le proprie fonti figurative. Da una parte la lezione del pittore spagnolo Jusepe de Ribera emerge nell’attenzione naturalistica con cui viene reso il corpo seminudo del Santo esibito in primo piano, invecchiato ma ancora nerboruto, così come nella caricata espressività degli sgherri. Mentre le ampie pennellate di caldo colore e la luminosità atmosferica complessiva del dipinto sono elementi significativi dei nuovi raggiungimenti stilistici di Giordano a partire dagli stimoli offerti dalla pittura di Mattia Preti.