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Il dipinto è da mettere in relazione al suo bozzetto preparatorio (in collezione privata) che reca sul retro l’iscrizione «Del Sig. Giuseppe Angeli Pittore e Direttore della scuola di Piazzetta in Venezia […]») e la data «23 agosto 1745». Angeli fu tra i migliori allievi di Giambattista Piazzetta come dimostra anche quest’opera che rielabora, in chiave giocosa, le celebri scene allegorico-arcadiche degli anni quaranta dipinte dal maestro, di cui è testimonianza anche L’indovina delle Gallerie dell’Accademia. Databile agli anni giovanili Angeli, la grande tela sembra ispirarsi ai modelli di Piazzetta anche per le nuances pastello utilizzate e per la luce diffusa che descrive i protagonisti della scena in un’atmosfera sospesa e irreale. La tela, animata da diverse figure che si stagliano contro uno sfondo interamente piatto e inanimato, è orchestrata in spazi diversi, ognuno abitato da uno o più figure. In primissimo piano un uomo che evoca forse la morte è vinto da un sonno profondo e sembra non badare alle due fanciulle che provano ad infastidirlo; un efebico pastorello, sulla sinistra, ci invita a prendere parte all’allegro episodio, mentre sul lato opposto un’anziana signora regge un rocchetto con un filo ed evoca l’iconografia della parca Lachesi, solitamente connessa all’allegoria del compimento di un destino già scritto. In realtà l’iconografia sembra volutamente ironizzare e giocosamente ironizzare e prendere le distanze da una pittura impegnata e allegorica, molto diffusa a Venezia in questi anni.  Il dipinto ha conosciuto un itinerario collezionistico vivace e articolato: partendo nel 1927 dal mercato antiquario berlinese, passa nella collezione veneziana Pospisil; da qui giunge poi, nel 1990, nelle mani del milanese Silvestro Gargantini e, nel 1995, viene infine acquistata dallo Stato e destinata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.