Documentata nella collezione di Gabriele Vendramin da Marcantonio Michiel nel 1530 e poi negli inventari famigliari cinque e seicenteschi, la Tempesta segue l’altro capolavoro di Giorgione, La Vecchia, nelle collezioni del mercante Cristoforo Orsetti per poi ricomparire nella collezione Manfrin, da dove è acquistata dallo Stato italiano nel 1856 e destinata alle Gallerie dell’Accademia.
L’iconografia misteriosa, incentrata su due personaggi di cui non si comprende immediatamente la relazione – un giovane soldato e una madre nuda che allatta il proprio figlio – ha stimolato le interpretazioni più varie, anche in relazione al significato del paesaggio e al cielo squarciato dal fulmine che dà il titolo al dipinto. Ultimamente (Falciani) è stata proposto di leggere l’iconografia del dipinto in relazione a un poemetto encomiastico della famiglia Vendramin che identificherebbe il soldato con asta in Silvio, secondogenito di Enea, mentre sullo sfondo la madre Lavinia al momento di metterlo al mondo nella selva (da cui il nome). Piuttosto varie anche le datazioni proposte, che variano dal 1503 al 1509. È tuttavia più plausibile pensare la Tempesta commissionata da Gabriele Vendramin intorno al 1504, anno decisivo per il suo percorso personale, e quindi più lontana cronologicamente dalla pittura “monumentale” di Giorgione dei suoi ultimi anni.