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Le Gallerie dell'Accademia di Venezia - come la Pinacoteca di Brera di Milano e l'Accademia di Bologna - costituiscono, nel panorama italiano del primo Ottocento, uno dei casi più importanti e significativi di museo di origine politica, nato in stretta connessione con le vicende storiche che videro in quegli anni Venezia, ormai priva della sua millenaria autonomia, decadere al ruolo di oggetto di scambio tra le potenze europee.

Con le soppressioni delle congregazioni religiose e delle magistrature pubbliche veneziane, avviate già nel 1797 e proseguite dopo l'annessione al Regno Italico nel 1805 (decreti del 1806, 1808 e 1810), fu confiscata infatti a Venezia una quantità enorme di opere d'arte provenienti da palazzi pubblici ed edifici di culto. Tra queste, una selezione di capolavori venne inviata a Parigi, per essere esposta al Louvre assieme alle più rappresentative testimonianze d'arte europea e mondiale. Un'ulteriore selezione, comprendente opere delle principali scuole pittoriche nazionali, andò ad arricchire a Milano - capitale del Regno - la Pinacoteca dell'Accademia di Belle Arti di Brera. Un numero ancor oggi inquantificabile di opere andò invece disperso e prese le vie del mercato.

Molti dipinti di grandissima qualità, soprattutto di scuola locale dal XIV al XVIII secolo, trovarono tuttavia a Venezia la loro estrema salvaguardia nella Pinacoteca dell'Accademia di Belle Arti, sorta in origine con funzioni di raccolta didattica per la formazione dei giovani artisti, e divenuta di fatto - storicamente - strumento di tutela contro vendite e dispersioni del più esposto patrimonio civico ed ecclesiastico.

Istituita ufficialmente nel 1807, con decreto napoleonico, l'Accademia di Belle Arti di Venezia (evoluzione della preesistente Accademia dei Pittori e Scultori, già attiva dal 1750 presso il Fonteghetto della Farina a San Marco), fu rifondata - con lo stesso statuto di quelle già istituite a Milano e Bologna - nella nuova sede del complesso della Carità, sgombrato dai soppressi Canonici lateranensi e dall'antica Scuola della Carità.

Dopo importanti lavori di adeguamento degli edifici e degli ambienti, conclusi nel 1811 e attuati dall'Architetto Giannatonio Selva, fu per la prima volta aperta al pubblico - anche se soltanto per un breve periodo - nel 1817, con grande concorso di visitatori.

Per incrementare le collezioni, in modo da assicurare agli allievi un panorama figurativo adeguato a un'istruzione artistica completa, furono attuati inizialmente tentativi di acquisto di opere rappresentative delle maggiori scuole pittoriche italiane e straniere. Dalla fine del XIX secolo in poi - tuttavia - decaduto l'interesse didattico, si preferì privilegiare la produzione pittorica veneta, dando vita a quella grande, uniforme raccolta dei capolavori della scuola veneta e veneziana che il museo rappresenta oggi.

I primi nuclei delle collezioni erano costituiti da un piccolo numero di opere, doni e saggi degli allievi, trasportati dalla vecchia Accademia; da alcuni dipinti della Scuola della Carità rimasti in loco e dalla raccolta di gessi dell'abate Farsetti, acquistata dal governo austriaco nel 1805. Ne fu nominato conservatore Pietro Edwards, già responsabile delle pubbliche pitture dal 1778 fino alla caduta della Repubblica, in cui tutti i governi succedutisi poi a Venezia avevano trovato un valido collaboratore.

Si aggiunsero in seguito alcuni dipinti restituiti dalla Francia, tra cui lo spettacolare telero con il Convito in casa di Levi di Paolo Veronese (rientrato a Venezia nel 1815), altri ritirati per misure precauzionali da chiese veneziane come quella di San Giobbe, e i primi doni dei privati.

Alcuni fra i più prestigiosi quadri delle Gallerie, in origine destinati all'arredo privato, sono stati infatti acquisiti grazie alla generosità di illustri collezionisti veneziani. Tra questi si susseguirono, nella prima metà del XIX secolo, il lascito di Girolamo Molin (1816), che recava, tra l'altro, un interessante gruppo di primitivi - tra cui il polittico di Lorenzo Veneziano con l'Annunciazione, il Paradiso di Giambono e i trittici di Alberegno e Jacobello del Fiore -, la donazione di Felicita Renier del 1833 (esecutiva dal 1850), che annoverava opere come il San Girolamo di Pietro della Francesca e la Vergine tra due sante di Bellini, e la cospicua donazione di Girolamo Contarini, con la quale, nel 1838, venivano devoluti alle Gallerie ben 188 dipinti. Da quest'ultimo lascito provengono capolavori come la Madonna degli alberetti o la Vergine col Bimbo benedicente di Giovanni Bellini e le scene veneziane di Pietro Longhi.

Importanti acquisti incrementarono poi, fin dalla prima metà dell'Ottocento, il nucleo originario delle raccolte. Tra questi si ricordano l'acquisizione, nel 1822, della collezione grafica di Giuseppe Bossi - che includeva fogli di Leonardo tra cui il celeberrimo Uomo vitruviano - e l'acquisto, da parte dell'imperatore Francesco Giuseppe nel 1857, di fondamentali dipinti della Galleria Manfrin, come il San Giorgio del Mantegna, il Ritratto di giovane di Memling e La Vecchia di Giorgione.

Tra le più notevoli acquisizioni realizzate dallo Stato italiano dopo l'annessione dell'ex Repubblica veneta al Regno d'Italia, si segnala infine quella che portò, nel 1932, all'ingresso nel museo della Tempesta di Giorgione. Nel 1882 veniva sancita la definitiva autonomia delle raccolte dalla scuola e dall'Accademia. Un radicale riordino della pinacoteca fu attuato nel 1895 dal direttore Giulio Cantalamessa, che per primo riorganizzò la sequenza espositiva secondo una successione cronologica. Con lui il museo venne ormai ad assumere la fisionomia sostanziale di compendio di eccellenza di testimonianze pittoriche dell'intera vicenda figurativa veneziana e veneta, dal Trecento al Settecento, che tuttora lo caratterizza.

La direzione del Museo non ha mai smesso di incrementare le collezioni anche con acquisizioni recenti.

Il legame delle Gallerie dell'Accademia con la città di Venezia è profondo: le sale custodiscono infatti alcuni dei massimi capolavori provenienti da chiese o scuole o magistrature pubbliche. Basti pensare al ciclo proveniente dalla sala dell'Albergo della Scuola di San Giovanni Evangelista, e in particolare ai teleri di Gentile Bellini e Carpaccio con la Processione in Piazza San Marco e il Miracolo della reliquia della Croce al Ponte di Rialto, dove l'immagine pittorica della città assume davvero il valore di un'immersione totale nella Venezia del Rinascimento.

In alcuni casi, poi, le opere esposte alle Gallerie sono l'unica testimonianza sopravvissuta di complessi conventuali demoliti nel periodo napoleonico.

La visita alla città è dunque un prolungamento necessario alla visita alle collezioni, e viceversa.

La Quadreria

Sorta di sezione di eccellenza dei più ampi depositi delle Gallerie, allestita per una fruizione anche pubblica, la Quadreria è stata per lunghi anni accessibile ai visitatori, ancorché con orario limitato e solo su prenotazione.

La creazione di questo particolare spazio espositivo - nata nell'ambito del progetto sperimentale "Dal museo alla città" - aveva comportato, al momento della sua creazione sulla metà degli anni novanta, il rinnovamento degli impianti di illuminazione e di sicurezza degli ambienti, nonché il restauro della scala ovata di Palladio, degna porta di accesso alla visita dei dipinti selezionati per l'esposizione nel lungo corridoio.

Quest'ultimo, che fungeva in origine da collegamento alle celle dei monaci nell'antico convento, ha assunto conseguentemente la doppia funzione di Pinacoteca fruibile anche ai visitatori esterni e di riordinato reparto sperimentale di monitoraggio delle condizioni conservative di un buon numero di opere dei depositi.

L'allestimento predisposto a tal fine raggruppava 88 capolavori della pittura veneta compresi tra la fine del '400 e il '700, da Nicolò di Pietro a Cima da Conegliano, Veronese, Tintoretto, fino a Tiepolo, Piazzetta, Alessandro Longhi e Hayez.

 

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