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L’opera risulta essere di fondamentale importanza in quanto, insieme alla Pala di San Michele Arcangelo nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, è l’unica che reca sia la firma dell’artista BONIF. / . ACIO. F. che la datazione M. D. XXXIII. / ADI. VIIII. / . NOVEB.; essa, dunque, rappresenta una testimonianza cardine nella valutazione del percorso artistico di Bonifacio. I committenti della pala, come si nota dalla presenza di una forbice sul gradino del trono, furono i confratelli della corporazione dei sartori (sarti). Costoro, infatti, scelsero di inserire in questa sacra conversazione sant’Obono, il cui attributo è proprio una forbice e la cui presenza in questo genere di dipinti è assai inusuale. L’impianto della composizione risulta essere piuttosto tradizionale, sebbene si noti come Bonifacio porti qui a termine la lezione di Palma il Vecchio, suo maestro, corroborandola, però, con il gusto coloristico del Tiziano. La critica, inoltre, ha sempre sottolineato l’aggiornamento ai modi manieristici di quest’opera, in particolare per quanto concerne l’impianto monumentale delle figure e specificatamente il brano pittorico dell’elemosina di sant’Obono al mendicante, caratterizzato da un disegno che mostra uno spirito d’osservazione abbastanza nuovo per quel tempo. Il quadro, dunque, si configura quale fitta trama di modelli differenti, elaborati dall’artista sulla base della propria formazione e delle proprie esperienze, aprendo così la strada alle composizioni narrative dal forte impianto architettonico che da questi anni vedranno la luce nella bottega di Bonifacio Veronese.