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Nell’inventario redatto il 23 febbraio 1787 nel palazzo veneziano di San Cassiano abitato dalla famiglia Baglioni, si ricorda un Servo d’Abramo con regali a Rachele pagato ben 100 ducati. Pur confondendo Rebecca con Rachele, sappiamo che il dipinto citato animava, assieme ad altre sette tele del maestro, la raccolta famigliare, la cui formazione venne intrapresa da Giovan Battista, noto editore d’origine bergamasca. L’opera, di cui possediamo anche un foglio di studi a matita nera conservato agli Uffizi, è costruita sulla diagonale delle due figure protagoniste, le quali sono modellate attraverso un prodigioso contrasto di chiari e scuri, a testimonianza del dialogo che, proprio a questa altezza cronologica, il Solimena instaura con i modi di Mattia Preti e Luca Giordano. L’episodio, di matrice biblica (Gn 24, 15-28), racconta del fortunato incontro di Rebecca e Eleazaro al pozzo. In una cornice paesaggistica dominata da un cielo cupo, fiotti luminosi colpiscono la monumentale fanciulla la quale guarda stupita i braccialetti d’oro che le vengono porti dall’anziano servo di Abramo, anch’egli in parte rischiarato. In primissimo piano sulla sinistra, quasi a bilanciare l’intero apparato compositivo, un uomo dalla possente muscolatura, colto di spalle, conduce i cammelli all’abbeveratoio. Tutt’attorno, inghiottite dalle ombre, altre giovani donne intente ad attingere acqua alla fonte.