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La grande pala d’altare decorava l’altare maggiore della chiesa veneziana di Santa Maria del Pianto, dove rimase fino al 1810 quando venne rimossa in seguito alle soppressioni napoleoniche per essere poi consegnata alle Gallerie dell’Accademia nel 1829. La chiesa di Santa Maria del Pianto sorge nel popolare sestiere di Castello presso le Fondamenta Nove, ed era una delle imprese artistiche più rappresentative della seconda metà del Seicento, sia per la sua architettura, a pianta centrale con cupola, ideata dall’architetto Francesco Contin in dialogo con il capolavoro coevo di Baldassare Longhena, la Basilica della Salute, sia soprattutto per il programma decorativo degli altari che coinvolgeva i nomi più innovativi della scena pittorica lagunare della metà del secolo. Accanto alla Deposizione di Luca Giordano gli altri cinque altari erano tutti stati affidati ai nuovi protagonisti dell’arte del tempo: Pietro Liberi, Pietro Ricchi, Sebastiano Mazzoni, Pietro Vecchia.

Tra i vertici assoluti della pittura del tempo, l’opera mostra la felicità compositiva del pittore napoletano, tra i più prolifici e influenti pittori del Seicento, evidente nell’intreccio dei corpi flessuoso e dinamico e nel dialogo emotivo e intensissimo tra i personaggi. Il momento della deposizione di Cristo dalla Croce è immaginato come una complessa operazione svolta da alcuni uomini – due dei quali identificati dai Vangeli con Giuseppe di Arimatea e Nicodemo –  inerpicati su scale poste in equilibrio precario, sullo sfondo di un cielo scuro e nuvoloso, che volge al temporalesco. Spettatrici e coprotagoniste del dramma sono le tre figure in primo piano: Maria, Giovanni evangelista e Maddalena, affetti centrali nella vita terrena di Gesù. Sulla sinistra la Vergine, il viso solcato da lacrime cariche e lucenti, come di cera, sembra voler accogliere tra le sue braccia il corpo esangue del figlio, dietro di lei l’inconsolabile apostolo “prediletto”, che nasconde il viso in un lembo della veste, mentre ai piedi della croce la Maddalena, immortalata nel pietoso gesto di baciare i piedi di Cristo.

L’incarico a Giordano di dipingere una pala d’altare in un contesto così prestigioso non giunse dal nulla: già dagli anni Cinquanta, infatti, la sua pittura era molto apprezzata nell’ambito del collezionismo privato lagunare, come mostrano numerosi riscontri inventariali oggi noti. La “stimatissima pala”, come fu definita la Deposizione già dalle fonti antiche, non è l’unica del pittore in città: altre sue tele si ammirano su altari, non meno prestigiosi, in Santa Maria della Salute e in San Pietro a Castello. È probabile che Giordano eseguisse l’incarico direttamente a Venezia, durante un non documentato ma probabile soggiorno in laguna alla metà degli anni Sessanta, tra il 1664-1665, in corrispondenza della mancanza di sue tracce in patria, a Napoli.

L’opera, nonostante la sua riconosciuta importanza e l’ampia notorietà all’interno degli studi specialistici, non ha mai goduto di particolare fortuna espositiva all’interno del museo, sia per la mancanza di spazi adatti alle sue dimensioni colossali e per una generale scarsa considerazione, fino a tempi recenti, della pittura lagunare del secolo XVII. La riapertura ora dei grandi saloni “Selva-Lazzari” al piano terra delle Gallerie dell’Accademia consente finalmente di risarcire questa lacuna e di inquadrare il capolavoro giordanesco in dialogo con altre massime testimonianze della pittura coeva veneziana, comprendendone l’influsso e il dialogo intessuto con i coevi pittori tenebrosi, a partire da Giovanni Battista Langetti, anche lui finalmente presente nel percorso espositivo con tre opere.