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Proviene dalla facciata sul Canal Grande del Fondaco dei Tedeschi, da dove fu staccato nel 1937, il frammento d’affresco raffigurante la cosiddetta Nuda.

La decorazione ad affresco, che dovette interessare tutto il palazzo, completava il nuovo Fondaco, ricostruito dopo il feroce incendio che distrusse il precedente edificio nel gennaio del 1505.

La prova documentaria che attesta che fu la mano di Giorgione ad affrescare la facciata d’acqua principale è la causa, per il pagamento dell’opera, promossa dallo stesso artista presso i Provveditori al Sal e conclusasi l’11 dicembre 1508 quando una commissione si riunì «a veder quello puol valer la pictura facta sopra la faza davanti del fondego de’ Todeschi, et facta per maistro Zorzi da Castel francho» (Rossi 2003, p. 150).

La Nuda in origine si trovava tra la quinta e la sesta finestra dell’ultimo piano, immediatamente sotto il cornicione – come testimoniano le foto storiche – ma è difficile oggi ricostruire con precisione l’intero ciclo.

Dai documenti grafici che nei secoli hanno raffigurato il palazzo – come la veduta inserita nell’Elemosina di san Ludovico da Tolosa di Antonio Palma (1555 ca.) o la tavola che illustra il Fondaco nella guida per il Forestiero illuminato edito da Giambattista Albrizzi nel 1740 – si comprende solo quale fosse la partizione degli spazi. Gli affreschi con figure risultano distribuiti tra le finestre dei piani superiori e sulle torricelle laterali, mentre tra le finestre dei mezzanini e tra i vari piani correvano fregi orizzontali (Nepi Scirè 1978, p. 123).

Effettivamente già nei decenni successivi la realizzazione degli affreschi, le fonti attestano la difficoltà di comprensione dell’insieme, di cui vengono fornite descrizioni parziali e poco chiare. Vasari, che nella prima edizione delle Vite descrisse «teste et pezzi di figure colorite vivacissimamente», nel 1568 affermò esplicitamente di non coglierne il significato inferendo che Giorgione «non pensò se non a farvi figure a sua fantasia per mostrar l’arte». Nel 1760 Anton Maria Zanetti pubblica le sue Varie pitture a Fresco, in cui riproduce incise sei figure del ciclo – tra cui la Nuda – lamentando l’impossibilità di riprodurre «quella tinta sanguigna e fiammeggiante che dà tanto sapore alle opere di questo pittore eccellente».

Oltre a cause naturali, incuria e inciviltà determinarono la scomparsa della decorazione ad affresco: alla metà dell’Ottocento, durante i restauri del Fondaco, si «smantellarono due stupende figure di Giorgione che erano fra le meglio conservate» (Selvatico 1847, p. 168), presenti nelle torricelle laterali dell’edificio, inconsultamente abbattute insieme ai camini (Pignatti Pedrocco 1999, p. 152). Mentre nel Novecento – dopo aver tolto la Nuda, che era protetta da una rete metallica – i muri vennero ricoperti di intonaco bianco.

La Nuda è sicuramente una figura allegorica, non è ipotizzabile una decorazione di pura fantasia, come vorrebbe farci credere Vasari. In piedi entro una semplice nicchia dallo sfondo ocra, è una giovane donna a seno scoperto, che regge nella mano sinistra una sfera di cui rimane il profilo inciso nell’intonaco, emerso dal restauro eseguito nel 1977 da Antonio Lazzarin. Un panno chiaro le vela parzialmente le gambe e le poche tracce di pigmento visibili accanto al braccio destro sembrano estendersi anche in altezza, come se il drappo fosse mosso dal vento (Rossi 2003, p. 155). La critica recente ipotizza che il complesso programma iconografico comprendesse simbologie attinenti alla terra e agli astri e che la Nuda possa essere l’allegoria di un’arte liberale (Nepi Scirè 1978, p.124).

Dal punto di vista stilistico la Nuda presenta un movimento armonioso e una misurata naturalezza che conferisce alla figura un tono classico. Il profilo degli occhi e del seno è reso mediante zone di colore più intenso rispetto al corpo ed una rapida traccia di pennello delimita il braccio sinistro. L’analisi ravvicinata rivela una pennellata libera, con forti accentuazioni di luce e ombra, e l’intesa tinta rosata del corpo conferma l’eccezionale cromia della facciata, che in passato colpì tutti i commentatori (Rossi 2003, p. 158).

Nonostante lo stato di rovina in cui è pervenuta, la Nuda è un documento assai importanti perché riferibile ad un data certa e perché unico esempio rimasto della vasta attività di Giorgione come frescante.

Entrata nelle collezioni delle Gallerie dell’Accademia nel 1938 e con temporanee esposizioni alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca d’Oro e a Palazzo Grimani, è tornata visibile alla sala VIII dopo il recente restauro svolto da Roberta Boscherini, Paola Potenza e Lucia Tito, sotto la guida della responsabile di cantiere Caterina Barnaba e la direzione dei lavori di Roberta Battaglia e Maria Chiara Maida.