L’opera è acquistata nel 1905 dallo Stato presso l’antiquario Sebastiano Candrian e destinata alle Gallerie dell’Accademia. All’iniziale nome di Sebastiano Ricci si è poi preferito quello di Piazzetta a partire dal 1924, con il consenso di tutta la critica successiva.
L’aspro chiaroscuro e la gamma cromatica ristretta ai colori terrosi essenziali suggeriscono una datazione attorno al 1710, quando lo stile di Piazzetta risente ancora dell’insegnamento del maestro bolognese Giuseppe Maria Crespi. I corpi, modellati da una luce radente proveniente dall’esterno del dipinto, emergono da un cielo cupo e vuoto assumendo pose differenti. La figura di Cristo, con il torace rivolto verso la fonte luminosa, è allungata e raggiunge la massima tensione in corrispondenza delle estremità degli arti, ma atteggiata in una posa di regale compostezza; i ladroni, fissati a croci prospetticamente scorciate, appaiono invece in forme più rigidamente espressive. Posto in primo piano davanti alla croce centrale, il teschio ha la tradizionale funzione di memento mori, mentre lo sfondo è occupato da un soldato a cavallo che spiega un vessillo, ricordo del medesimo oggetto che Crespi aveva inserito nella sua Crocifissione, oggi conservata presso la Pinacoteca di Brera.
L’iconografia del Cristo con le braccia verticali, poco diffusa nella pittura veneta coeva, si riscontra invece nel trecentesco Crocifisso miracoloso di Poveglia, conservato nella chiesa di Santa Maria Assunta a Malamocco dal 1809. Tale modello plastico era di certo familiare a Piazzetta, che realizzerà nel 1723 per la sacrestia della chiesa originaria il dipinto perduto del Miracolo del Crocifisso.