Il dipinto, proveniente dal convento di san Giovanni e Paolo e divenuto proprietà statale all’indomani delle soppressioni napoleoniche, raggiunge le Gallerie nel 1919 dopo un lungo soggiorno viennese (dal 1816). La tavola firmata e datata sul retro «BENEVENTUS/ BRUNELLUS IUSSIT FIERI/ ANNO. 1526/CALLISTUS, LAUDEN, F.» si rivela «una delle più ispirate ricostruzioni del fatto evangelico» realizzate da Callisto Piazza che più volte, nel corso della sua vita, ritorna sull’episodio biblico (Novasconi 1971). È un’opera della matura giovinezza di Callisto la cui arte al pari di quella di Dosso, Pordenone, Palma e Romanino «è di una sola fumata levatasi dalla cenere violetta dei funerali di Giorgione» (Longhi).
Diversamente dalle altre versioni della Decollazione del pittore lodigiano poche sono le figure di astanti che popolano il secondo piano del dipinto. Il collo mozzato del Battista, dal quale il sangue sgorga a fiotti, viene macabramente posto in primo piano mentre il capo, dal volto sereno, aponico sta per essere collocato sul piatto d’argento cesellato sorretto da Salomè, mandante della decapitazione. La femminea e gracile bellezza della giovane donna cozza con il corpo nerboruto del carnefice alla sua sinistra.
Curiosamente si può notare che in questa tavola compaiono alcuni modelli che saranno poi inseriti nel ciclo dedicato alle storie di san Giovanni Battista del santuario dell’Incoronazione di Lodi: è il caso del vecchio in dialogo con re Erode che torna negli episodi della Predicazione e del Banchetto e delle due Salomè dal viso morbidamente modellato su cui spicca il naso appuntito.