Giulia Lama è una pittrice veneziana vissuta nella prima metà del Settecento che, nonostante le sue buone doti artistiche e la protezione accordatale da Piazzetta, non solo non giunse alla celebrità conquistata da Rosalba Carriera, ma consumò l’intera esistenza nell’anonimato, afflitta dalla disistima dei contemporanei. Il profilo tratteggiato dall’abate Antonio Conti in una lettera inviata il 1° maggio 1728 da Venezia alla sua corrispondente parigina, madame de Caylus, mette bene in luce l’incompreso valore di quest’artista: “Ho appena scoperto qui una donna che dipinge meglio di Rosalba…. essa si chiama Giulia Lama, ha studiato in gioventù matematica col celebre padre Maffei; la povera donna è perseguitata dai pittori, ma la sua virtù trionfa sui suoi nemici. Ė vero che essa ha tanta bruttezza quanto spirito, ma parla con grazia e finezza, così le si perdona facilmente il suo viso. Lavora in merletti …. E vive ritiratissima”.
Giulia Lama non si limitò ad esercitarsi nel campo del ritratto, genere abitualmente praticato dalle donne al pari della natura morta, ma praticò anche la pittura cosiddetta di storia che presupponeva la frequentazione dell’ambiente promiscuo di una scuola e lo studio del nudo, da lei assiduamente indagato attraverso una ricca serie di studi grafici. Molto ridotto è il suo catalogo pittorico e pertanto risulta un privilegio per le Gallerie dell’Accademia il fatto di possedere un dipinto pienamente autografo, entrato nelle collezioni per acquisto nel 1976. Giuditta e Oloferne rappresenta bene il linguaggio drammatico ed aspro della Lama, espressione di una personalità singolare, anticonformista, afflitta da ansie oscure che trova espressione anche nella poesia da lei a lungo frequentata. Lo scarto con cui la pittrice interpreta il testo biblico, scegliendo di rappresentare Giuditta mentre invoca l’aiuto divino con le braccia portate in avanti in un gesto di preghiera – anziché nell’atto di compiere l’azione cruenta di decapitare Oloferne – è indicativa dell’originalità con cui la Lama interpreta anche i temi più comuni. La scena assume un forte sapore teatrale: all’aprirsi della tenda-sipario, il primo piano è inondata da una luce molto violenta e astratta che fa risaltare gli attori principali. Il registro della comunicazione è di forte espressionismo: al corpo nudo riverso e disposto in diagonale di Oloferne, dal colorito livido e quindi già privo di vita, fa da contrappunto il busto dell’eroina colta in uno scorcio molto efficace. Partecipa all’azione il personaggio della vecchia servente ritratta, come di consueto nelle sue composizioni, "in abisso".
Lo stile della Lama si basa su un’originale declinazione del linguaggio di Piazzetta, reinterpretato in termini di essenzialità e persino ruvidezza, fin quasi alla deformazione anatomica, con esiti espressionistici molto particolari. Caratteristico è l'utilizzo di un chiaroscuro violento, che costruisce ed insieme evoca i personaggi sulla scena, trasfigurando il dato naturalistico in una immagine fortemente espressiva.