Il dipinto venne acquistato nel 1910 dall’Ufficio esportazione di Venezia, insieme alla Crocifissione di san Pietro di Luca Giordano. Assegnato a Francesco Solimena per la prima volta da Roberto Longhi con una comunicazione scritta, fu pubblicato nel catalogo del museo (1970) dubitativamente come figura di Lazzaro, cui rimanderebbero la testa, la gamba destra fasciati e l’accenno di aureola. La figura seduta emerge da uno sfondo scuro in un ambiente non definito, se non per un oggetto poco decifrabile in basso a sinistra. Una fonte luminosa risalta l’anatomia della figura, caratterizzata da un forte chiaroscuro e costruita attraverso dense stesure di colore.
Rispetto all’autografia dell’opera e alla corretta interpretazione del soggetto raffigurato, gli studi più aggiornati sull’artista non sono tuttavia concordi. Una parte della critica ha preferito infatti interpretare il dipinto come uno studio accademico del secondo decennio del Settecento, ovvero un’esercitazione sulla rappresentazione della figura umana dal vero quale pratica consolidata e documentata dalle fonti anche presso l’Accademia di Solimena. L’assegnazione a Solimena, avvalorata anche dalla presenza, in alcune grandi e scenografiche tele dell’artista, di figure apparentabili al Lazzaro, in particolare nel Martirio dei Giustiniani a Scio conosciuto dal bozzetto oggi al Museo di Capodimonte, ha di recente trovato una alternativa a favore di uno dei suoi allievi, Giuseppe Bonito, sulla base della pala d’altare con l’identica rappresentazione di San Lazzaro nella chiesa di San Ciro a Portici (Napoli), opera sicura del pittore e realizzata intorno al 1740.