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Il grande telero di formato ovale fu eseguito da Padovanino nel 1636-1637 per il soffitto della chiesa che sorgeva al centro del cortile interno del complesso degli Incurabili. L’edificio, dedicato al Salvatore, fu distrutto nel 1831, dopo che l’intero complesso fu riconvertito prima in ospedale civile e poi in caserma militare. Le fonti antiche testimoniano la ricchezza della decorazione lapidea e pittorica della chiesa, progressivamente smantellata e in parte messa in vendita nel corso del XIX secolo. Il soffitto era decorato da alcune allegorie e da tre grandi tele ovate raffiguranti al centro il Paradiso (opera di Sante Peranda, completata da Francesco Maffei e oggi perduta), la Parabola delle vergini sagge e stolte di Padovanino e la Parabola dell’invitato a nozze di Bernardo Strozzi, di cui sopravvivono alcuni frammenti, il maggiore dei quali, acquistato dallo Stato nel 2016, si conserva alle Gallerie dell’Accademia, a diretto confronto con l’opera di Varotari.

Secondo la parabola evangelica (Mt 25, 1-13) le vergini sagge, raffigurate sulla destra, si premunirono di conservare l’olio delle lampade in modo da poterle accendere di notte, così da poter riconoscere lo sposo e “procedere” con lui alle nozze, secondo quando prevedeva il rito nuziale antico. Al contrario le vergini folli, a sinistra, non disponendo di riserve, caddero preda del sonno o si recarono dai venditori per comprare altro olio, mancando così l’incontro atteso. Lo sposo, che pur non si manifesta esplicitamente nel dipinto, è metafora di Cristo; di conseguenza le nozze con Lui rappresentano l’accesso al Regno dei Cieli nella parabola evangelica. Il testo, soprattutto se letto in parallelo alle altre due scene del soffitto, offriva un monito rivolto in particolar modo alle giovani orfane ospiti dell’ospedale degli Incurabili, vale a dire a farsi trovare pronte per la seconda venuta di Cristo, quella dell’ora del Giudizio.

La tela, oggi esposta a soffitto nel salone del Seicento (sala 5) è un’assoluta novità nell’allestimento permanente delle Gallerie dell’Accademia. Una complessa struttura ne permette l’ancoraggio a più di cinque metri d’altezza e ne consentirà anche la movimentazione per la sua manutenzione. La nuova posizione “a soffitto” permette di ripristinarne, quanto più possibile, la corretta visione dal sotto in su, apprezzando le scelte compositive e stilistiche del pittore. In particolare le figure femminili, dal carattere di classica monumentalità, assumono inedita profondità nella lettura degli scorci arditi e nel loro stagliarsi da una parte contro il cielo e dall’altra contro una complessa partitura architettonica. Particolarmente efficace è la resa dei gradini in primissimo piano, su cui una delle vergini folli giace dolcemente addormentata, così come di piacevole effetto naturalistico è l’interazione delle diverse figure femminili, intente a scambiarsi l’olio e affaccendate a preparare le lampade, ora spente, ora ardenti.

Opera della piena maturità di Varotari, giunto ormai al culmine di una carriera di successo a Venezia come in terraferma, la Parabola delle vergini sagge e folli esprime la definitiva e ultima conferma delle scelte stilistiche del pittore, determinato a mantenere viva la tradizione cinquecentesca, in particolar modo con riferimento al modello di Tiziano, ma intento ad una peculiare ricerca di effetti monumentali, aumentati da arditi scorci prospettici.