Pervenuto alle Gallerie dell’Accademia di Venezia tramite acquisto nel 1901, il dipinto rappresenta un raro esempio di arte emiliana del tardo Cinquecento all’interno delle collezioni del museo veneziano. Di provenienza incerta, l’opera potrebbe in via ipotetica essere identificata con quella ricordata nell’inventario della collezione seicentesca veneziana Widman, il cui inventario, del 1659, è redatto da esperti del calibro di Nicolas Régnier e Pietro Vecchia. Collocabile su base stilistica nel lustro 1585-1590, prima della fase classicistica romana di Annibale Carracci, questo San Francesco presenta elementi analoghi a un’opera di datazione certa come l’Assunzione della Vergine oggi a Dresda, del 1587. Il poverello di Assisi è raffigurato nell’atto di mostrare eloquentemente gli strumenti della sua meditazione: il crocifisso sanguinante, il teschio – memento mori – e i libri, appoggiati su delle curiose “mensole” di roccia alle sue spalle. L’espressione di vivo naturalismo e lo splendido brano di natura morta, ravvivata dalla presenza dei rovi e della lucertola, aggiornano l’immagine devozionale del santo di Assisi rispetto agli esempi ben noti ad Annibale Carracci, introdotti a Bologna dal cugino Ludovico. Della tela esiste un’altra versione autografa alle Gallerie Nazionali Barberini e Corsini di Roma.