L’opera entra nel patrimonio del museo attraverso il legato Molin (1816) con attribuzione prima al Caravaggio e poi a Bartolomeo Manfredi. Cantalamessa (nota manoscritta riportata da Moschini Marconi 1970) giudica la tela opera di un caravaggesco minore, opinione con cui concorda Sandra Moschini Marconi nel catalogo generale delle Gallerie dell’Accademia, che vi rileva una qualità modesta.
La tela rappresenta tre personaggi, elegantemente vestiti secondo la moda del XVII secolo, intenti nel gioco degli scacchi, uno dei soggetti preferiti dai seguaci del Merisi che prediligevano scene di genere ambientate all’interno di cupe osterie.
Il punto di vista ribassato fa scivolare l’occhio lungo il tavolo inclinato, dove sta la scacchiera e un brano di natura morta composto da un piatto, un’ampolla ed un bicchiere. I giocatori sono bagnati da una luce che descrive con attenzione naturalistica la consistenza tattile delle loro vesti dalle cromie accese e ne restituisce con vivido realismo i copricapi piumati che campeggiano su uno sfondo bruno ed indistinto.
L’interesse del dipinto risiede anche nel suo essere testimonianza del successo, invero piuttosto limitato, della pittura caravaggesca in laguna, i cui primi esiti sono documentabili a partire dall’arrivo di alcuni pittori provenienti da Roma negli anni venti del Seicento (Régnier, Gentileschi, Vouet).