Il dipinto, di cui era stata a lungo messa in dubbio la paternità di Bissolo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento per il sospetto che l’iscrizione con la firma fosse apocrifa, è stato successivamente riconosciuto opera pienamente autografa di Francesco Bissolo.
Costituisce una delle numerose versioni derivate da un perduto prototipo belliniano, più volte replicato da pittori di supposta formazione belliniana, come dimostrano i due esemplari firmati da Bartolomeo Veneto e datati 1502 (già Venezia, collezione Donà dalle Rose) e 1505 (Bergamo, Accademia Carrara). Anche Bissolo ripropone identico il gruppo della Vergine con il Bambino in una tavola con Madonna con il Bambino e san Giovannino, di più ampio sviluppo orizzontale, passata sul mercato antiquariale londinese qualche anno fa.
Il dipinto qui in esame esprime perfettamente l’orientamento linguistico del pittore incline a forme addolcite, di intonazione lirica, fondate sull’accostamento armonioso e bilanciato di figure, pacate nelle espressioni, ben dosate nei colori e poco contrastate nelle luci. È stata di recente messa in risalto la componente giorgionesca del dipinto nella resa unita e morbida degli incarnati e soprattutto nel paesaggio rappresentato nel fondo caratterizzato da una sensibilità paesistica giorgionesca, pastorale ed arcadica, alla cui diffusione molto contribuì in quegli anni l’attività grafica e incisoria di Giulio Campagnola. Proprio in ragione dell’adesione alla maniera giorgionesca, pare preferibile arretrare la datazione della tavola allo scadere del primo decennio, in concomitanza al graduale aprirsi della pittura belliniana alla maniera moderna (P. Dal Bò, 2014, p.105) rispetto alla datazione più tarda precedentemente proposta dopo la pala del 1516 per la chiesa di Santa Maria in campo nell’isola di Lagosta in Dalmazia (Paola Carboni, 1986-87).