Ritsue Mishima alle Gallerie dell’Accademia
A cura di Michele Tavola
La mostra “Ritsue Mishima – Glass works” inizialmente programmata fino al 30 ottobre 2022, verrà prorogata fino a domenica 27 novembre 2022
“Il mio vetro è trasparente e incolore, cattura e rilascia la luce e i colori che lo circondano”: in queste poche parole di Ritsue Mishima è racchiuso il significato della sua arte. Più che dai valori plastici delle forme, più che dagli oggetti in se stessi e dal materiale con il quale sono realizzati, il senso ultimo della ricerca di Mishima è restituito dall’aura luminosa che circonda le opere. Il vetro, accuratamente scelto e trattato con una tecnica personale sviluppata e affinata nelle fornaci di Murano nel corso dei decenni, è lo strumento attraverso il quale l’artista crea le atmosfere, le percezioni spaziali e le sensazioni ambientali che costituiscono l’essenza del suo lavoro. I singolari esiti estetici ottenuti sono il frutto dell’incontro tra la sua cultura d’origine e la tradizione veneziana della lavorazione del vetro.
I pezzi presentati alle Gallerie dell’Accademia instaurano un dialogo serrato e intimo con le opere della collezione permanente e con gli ambienti nei quali vengono esposti. Innanzitutto e soprattutto Antonio Canova, del quale quest’anno ricorre il bicentenario dalla morte, è il primo e principale interlocutore di Mishima. Il percorso espositivo si apre con i nove piccoli Meteoriti in vetro argentato collocati appena sotto i calchi in gesso delle quattro steli funerarie dedicate a Giovanni Falier, Willem George d’Orange, Alexandre de Souza e Giovanni Volpato. La superficie granulosa, mossa e irregolare dei Meteoriti, resa riflettente dal processo di argentatura, interagisce con il candore dei gessi con l’intenzione di amplificare la luminosità dello spazio attraversato dallo spettatore.
Nell’intimità della sala 10 i rimandi all’opera del maestro di Possagno si fanno ancora più espliciti: con i suoi Lottatori Mishima tributa un omaggio alla terracotta canoviana di medesimo soggetto collocata nell’elegante teca progettata da Carlo Scarpa, eseguita nel 1775 e ispirata al gruppo scultoreo antico conservato agli Uffizi. Un calco in gesso raffigurante i Lottatori, proveniente dalla celebre collezione dell’abate Filippo Farsetti, è esposto nella medesima sala e impreziosisce il confronto. La composizione creata dall’artista giapponese presenta due elementi distinti, lavorati separatamente in vetro soffiato e avvolti a caldo da cordoni anch’essi di vetro. Le due forme astratte si sovrappongono e si intrecciano evocando in maniera inequivocabile e potente i corpi indissolubilmente legati nella lotta che si vedono nel modello classico.
Compiendo un gesto fortemente simbolico, l’artista ha voluto che alcune sue opere (Vento, Arca di luce e due versioni di Cellula) fossero presenti anche nel Tablino dove, oltre a diversi gessi di Canova, tra i quali corre l’obbligo di citare almeno il Creugante, Madama Letizia Bonaparte e il Busto di Leopoldo Cicognara, è conservato il monumento commemorativo disegnato da Giuseppe Borsato nel quale è stata a lungo conservata la mano destra del grande scultore. Il dialogo con gli autori del passato che si incontrano alle Gallerie dell’Accademia non si esaurisce con Canova ma continua con Palladio: nella tromba della sua impressionante scala ovata, sospesa nel vuoto, si estende per otto metri e venti centimetri la Colonna di luce, composta da novanta elementi di forma tondeggiante, simili l’uno all’altro ma tutti diversi nella loro unicità. Infine, nell’atrio antistante al monumentale cortile palladiano, un lungo tavolo in metacrilato dalla superficie specchiante accoglie una quindicina di sculture che riflettono e moltiplicano la propria immagine sul supporto che li ospita: benché si tratti di pezzi autonomi, lo spettacolare effetto ottico d’insieme suggerisce di leggere questa teoria di opere come un’unica, affascinante e ipnotica installazione.