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Già nella chiesa dell'Umiltà ubicata alle Zattere tra il rio della Salute e la Dogana da Mar.  Menzionata dal Boschini (1664) «sopra l'altare», venne presto collocata in posizione più marginale: Zanetti (1733) la indica infatti «sopra il finestrone». Divenuto l’edificio di proprietà demaniale in seguito alle soppressioni napoleoniche (1806), il dipinto fu assegnato all'Accademia prima della demolizione della chiesa avvenuta nel 1821. Ricorda il nome e la dedica della chiesa il modo in cui viene presentato il soggetto, con la Vergine che sembra seduta a terra, nell’atteggiamento proprio della Madonna dell’Umiltà. Rispetto al modo tradizionale di rappresentare il momento della deposizione di Cristo dalla croce, Tintoretto riduce drasticamente il gruppo degli astanti. I personaggi sono imponenti e più grandi del naturale. Maria Maddalena, che occupa per un terzo la parte superiore del dipinto, protende le braccia in un gesto di dolore, mentre fissa il viso di Cristo quasi in cerca di un segno di vita.  La composizione è ben calibrata: i corpi allungati di Cristo e della Vergine si sovrappongono in forma di croce e la diagonale composta dai due uomini sul lato sinistro trova un parallelismo nella diagonale costituita dalle tre donne sulla destra. Il nudo scultoreo del Cristo, di potente michelangiolismo, e l’intenso chiaroscuro ottenuto accendendo i riflettori su alcuni elementi figurativi e, facendoli emergere dalla dilagante oscurità, rendono questo un capolavoro di forte impatto emotivo. La datazione del dipinto oscilla tra i primi anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo.