La tela, assieme a La Comunione di S. Girolamo, era parte di un ciclo di cinque dipinti, composto da altri di Giovanni Bellini e Alvise Vivarini, oggi scomparsi. Entrambe le tele, divenute di proprietà demaniale in seguito alle soppressioni napoleoniche e trasferite nei depositori della Commenda di Malta (la Comunione) e di San Giovanni Evangelista (il Funerale), vennero inviate a Vienna e da lì ritornarono a Venezia nel 1919. Il restauro del 1948 – 1949 (Pellicioli e Arrigoni) consentì la rimozione di ampie ridipinture che ne offuscavano la luminosità, in particolare per quanto riguarda la porzione di cielo.
Il funerale di san Girolamo è ambientato nella piccola cappella del convento che comunica con un cortile interno, caratterizzato da una fuga prospettica di archi sorretti da colonne. Assistono alla cerimonia di commiato dal defunto, collocato a terra e rappresentato come di consueto con una lunga barba bianca, i confratelli dolenti avvolti in lunghi mantelli quasi a voler richiamare uno degli obblighi principali della scuola ossia l’accompagnamento dei confratelli defunti al sepolcro. Partecipa tristemente alla scena anche il leone, consueto attributo del santo, che secondo la Legenda Aurea non lo avrebbe mai abbandonato, dopo essere stato da lui guarito dai rovi conficcatisi nelle zampe.
La tela si caratterizza per un rigoroso impianto prospettico e una pronunciata tendenza geometrizzante nell’organizzazione degli spazi mitigata però da una certa spigliatezza narrativa specie nella resa delle diverse pose ed espressioni degli astanti. La spoglia semplicità dell’ambiente è bilanciata dalla presenza di preziosi dipinti, meticolosamente descritti, come l’ancona mariana sull’altare che potrebbe rinviare alla posizione assunta da Girolamo nella difesa della verginità della Madonna.
La scena verrà riproposta pressoché identica in uno scomparto della predella della Pala di San Girolamo dipinta da Lazzaro Bastiani per il Duomo di Asolo, oggi conservata a Brera.