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Dipinta per la seconda sala del Magistrato del Sale, l’opera è databile al 1533 ed è una delle più grandi realizzate da Bonifacio per le magistrature riunite nel Palazzo dei Camerlenghi. I committenti, seppur il quadro non riporti i loro stemmi, sono stati identificati in Andrea Marcello e Paolo Valaresso, usciti di carica rispettivamente all’inizio e alla fine del 1533. La datazione, inoltre, è suggerita anche dalla presenza di un’iscrizione dipinta entro un cartiglio sul gradino del trono: m. d. xxx / iii. Il tema del dipinto non giunge nuovo nell’iconografia politica della Serenissima; la Repubblica vedeva nella figura di Salomone una perfetta personificazione della saggezza e della giustizia, virtù queste che storicamente identificavano il governo veneziano. Iconograficamente il dipinto è molto interessante: gli influssi raffaelleschi derivati dalle incisioni di Marcantonio Raimondi sono ben evidenti nei gruppi di personaggi scalati a fregio che chiudono ai lati, a mo’ di quinte, la scena. Il quadro, inoltre, risulta fondamentale in quanto apporta un significativo contributo alla pittura narrativa, in quel momento non particolarmente coltivata dagli artisti veneziani. Bonifacio riesce qui a fondere il suo innato giorgionismo con una seria e rigorosa costruzione spaziale di particolare interesse; l’artista veronese, infatti, sembra aver sventrato il palazzo per mostrare ciò che vi accade all’interno, dividendo, al contempo, la scena in due parti: quella di sinistra, più animata, con il corpo proteso della madre e la figura dell’aguzzino pronto ad uccidere il bambino che rozzamente tiene per un braccio, e quella di destra, più statica, in cui troneggia non solo Salomone, ma anche l’anziano e pingue consigliere più in basso, il cui volto potrebbe ispirarsi al busto antico raffigurante Vitellio conservato nella Collezione Grimani ed oggi al Museo Archeologico di Venezia, ma anche alla figura fariseo nel Cristo fra i dottori di Dürer. Il dipinto si presenta in condizioni conservative piuttosto buone; ciò ha permesso agli studiosi di valutarne ed apprezzarne la qualità esecutiva – contraddistinta da colori brillanti e da una notevole caratterizzazione fisionomica dei personaggi – e di ricondurne gran parte della realizzazione al pennello di Bonifacio, identificandola, dunque, come una delle rare tele di questo ciclo decorativo autografe dell’artista.