L’antica collocazione nella collezione dei marchesi Mazenta di Milano, dove rimase nella disponibilità della famiglia fino al 1879 (quando passò ai Pinetti Martinengo di Bergamo, discendenti dei Mazenta), le dimensioni e il soggetto suggeriscono che si tratti di un dipinto destinato alla devozione privata. Raffigura la Madonna seduta, in abito rosso e manto grigio-azzurro, che si rivolge con sguardo dolcemente malinconico al Bambino adagiato sulle sue ginocchia. La relazione tra madre e figlio è di intimo affetto, ma anche di malinconica consapevolezza: lo sguardo che i due protagonisti si scambiano presagisce quel destino di sacrificio a loro già noto e inevitabile. Sul margine sinistro un’apertura lascia intravvedere un roveto ardente, simbolo della verginità di Maria: secondo il miracolo testimoniato da Mosè nell’Antico Testamento, il rovento arse per la presenza del fuoco divino senza consumarsi così come la Vergine concepì il figlio che si incarnò nel suo grembo rimanendo integra nella sua purezza.
Le indagini riflettografiche hanno dimostrato che la tela era stata precedentemente utilizzata per abbozzare una figura femminile orante: quest’ultima, dipinta sulla tela rovesciata in corrispondenza delle gambe del Bambino, fu portata ad uno stadio avanzato di elaborazione formale e di finitura pittorica.
L’esecuzione pittorica a pennellate veloci e sovrapposte è tipica della maniera tarda dell’artista. Viene generalmente datato attorno agli anni Sessanta del Cinquecento quando l’impasto del colore inizia ad intridersi di bagliori di luce, come avviene nella Annunciazione della chiesa di San Salvador a Venezia. Puliture condotte durante antichi interventi di restauro hanno impoverito l’incarnato del Bambino e il manto della Vergine, completamente privo di ombre, mentre i piedi del Bambino appaiono in buona parte ridipinti.