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Il grande telero fu eseguito per la Sala capitolare della Scuola Grande di San Marco entro l’aprile del 1548, quando è ricordato in una missiva elogiativa inviata al pittore da Pietro Aretino, celebre letterato del tempo. Sequestrata dalle truppe francesi nel 1797, la tela rientra a Venezia nel 1815 ed è destinata alle Gallerie dell’Accademia in ragione della soppressione delle scuole di devozione ordinata da Napoleone. 

L’opera rappresenta uno dei miracoli postumi di san Marco accreditati dalle fonti agiografiche, ovvero San Marco libera lo schiavo dal supplizio della tortura. Si tratta della tortura inflitta da un signore di Provenza, rappresentato sulla destra assiso su di un altro trono, ad un servo, immobilizzato a terra, colpevole di aver disobbedito al suo padrone e di essersi recato in pellegrinaggio a Venezia per visitare il corpo dell’Evangelista, facendo voto di affidare le sue membra alla protezione di questi. L’apparizione miracolosa del santo, invocato dallo schiavo, provoca lo spezzarsi degli strumenti del martirio lasciando esterrefatti il signore, i carnefici e la folla degli astanti. Il Miracolo sancisce l’affermazione pubblica di Tintoretto nel contesto veneziano e rappresenta il momento in cui le diverse esperienze della sua giovinezza giungono a piena maturazione, dando vita ad un linguaggio provocatoriamente innovativo. Il carattere teatrale, nel monumentale impianto scenografico e nell’abile regia delle masse, tradisce la familiarità del pittore con gli ambienti del teatro veneziano, aprendo una nuova stagione per la tradizione dei teleri narrativi commissionati dalle Scuole.